La musica di Richard Wagner è una porta drammaticamente aperta sulla filosofia dello spirito di Hegel e quella dell’eterno ritorno all’uguale di Nietzsche. Allo stesso modo, Hegel e Nietzsche ne sono i librettisti, i pilastri su cui poggiano le architetture, mistiche e immaginifiche, del castello di Neuschwanstein, in Baviera, che già si intravedono quando si ascolta Wagner raccontare le vicende dello spirito del popolo tedesco!
Diciamo che non mi va più di occuparmi di futilità, diciamo anche che non vale la pena spendere le proprie energie quando nessuno ti ascolta o quando, alle spalle ti parlottano dietro e allora, coltivo i miei amori di sempre: filosofia, letteratura, arte, mi danno molto di più e mi aiutano a volermi un po’ più bene che non è cosa da poco.
Giovanni Cuter, “Furore e Redenzione”
Dunque: “Come ci insegna Adorno, anche la filosofia contemporanea può invecchiare. Le opere filosofiche più significative, dopo la morte degli autori, attraversano uno stadio intermedio in cui non sono né attuali, né canoniche e fluttuano in una dissoluzione spettrale. I temi che una volta si raccoglievano sotto un nome proprio, ora si svincolano da questo rappresentante, si decompongono e attraversano uno stadio che è simile a quello del compostaggio. Cominciano così a moltiplicarsi radicalizzazioni arbitrarie di singoli temi e nuove diverse combinazioni dei singoli elementi scomposti, e il resto sprofonda in un passato irrecuperabile. Soltanto nell’attimo della sua dissoluzione sembra mostrarsi veramente il modo in cui è costruita una sintesi filosofica. Questa analisi, che procede attraverso lo smontaggio, funziona anche se l’autore, come ad esempio Adorno, tenta di sottrarre il proprio testo a un tale destino, professandosi antisistematico (come oggi fanno un poco tutti n.d.r.). La decomposizione difatti non riguarda soltanto i sistemi propriamente detti, ma anche il pensiero informale, che riflette la sua struttura allentata, nel costituirsi non come sistema, ma come un’écriture”. Questo passo di Peter Sloterdijk è tratto dal suo testo “Non siamo stati ancora salvati. Saggi dopo Heidegger”, pubblicato per Bompiani nel 2004, tradotto da Anna Calligaris e Stefano Crosare, citato a pag. 185, con una bella prefazione di Pier Aldo Rovatti, il titolo originale è “Nicht gerettet. Versuche nach Heidegger”. Dunque, la filosofia invecchia ed è caduca come tutto, Sloterdijk, però, ci dice pure come essa continua la sua missione, attraverso la trasformazione dei suoi elementi costitutivi, fino ad una “redenzione informale”. “Così accadde dopo Hegel, dopo Husserl […], dopo Heidegger”, lo stesso Theodor Adorno, e con lui parte della Scuola di Francoforte, che voleva ritenersi immune da questa decomposizione, è stato forse il primo ad essere stato dimenticato con gli altri appartenenti della famosa scuola che tanto peso ebbe per le generazioni di studenti negli anni ‘60 e ’70. Per Adorno però, proprio perché fortemente contestualizzato, la dissoluzione della sintesi non avviene per il contrasto con i suoi successori, ma per “perdita di pressione” storica. Se l’aver coniugato Heidegger, Freud e Marx insieme con Hegel e Nietzsche era già molto bizzaro e improbabile, ora, dopo un quarto di secolo dalla morte di Adorno tutta quella riflessione appare addirittura improponibile. Cosa reste allora di quel pensiero decomposto? Cosa resta della grande rappresentazione della caduta della metafisica raccontata nella Dialettica negativa e poi insieme a Max Horchkeimer nella Teoria critica? Rimangono i resti trasformati di una teoria dell’arte, rimane solo l’opera d’arte e le sue possibili interpretazioni filosofiche come unico rifugio contro gli eccessi della metafisica, ma rimane anche – adattata alla odierna reificazione dei corpi e delle coscienze contemporanei – la lettura decostruita del suo capolavoro assoluto che, abbandonando il rigore della filosofia abbraccia l’ambigua doppiezza della letteratura: I “Minima Moralia“.
Nella storia della letteratura mondiale vi è un capolavoro assoluto, scritto in tedesco, nel 1797, da Johann Christian Friedrich Hölderlin (immagine a sinistra), un testo in cui la tensione poetica non è inferiore a quella di autori considerati insuperabili, come Dante Alighieri e William Shakespeare. Quest’opera è Hyperion oder der Eremit in Griechenland (Iperione o l’eremita in Grecia). In essa, è narrata la storia del giovane eponimo greco il quale, tornato nella sua terra e trovatavi una situazione politica catastrofica, scrive all’amico Bellarmino, rimasto in Germania, raccontandogli le sue esperienze. Iperione vive nella metà del XVIII secolo nella Grecia Meridionale, immerso nella natura, dove, introdotto dal saggio pedagogo Adamas al mondo eroico di Plutarco e a quello incantato delle divinità greche, si appassiona alle antichità del suo Paese. Più tardi, conosce Alabanda, unico a condividere i suoi ideali riguardo un progetto di liberazione della sua patria, pur non condividendone la visione sul ruolo dello Stato. Poi, l’incontro con Diotima, a Kalaurea, della quale finisce per innamorarsi e che durante un viaggio, di fronte alle rovine di Atene, gli infonde la forza per tramutare i suoi ideali in azione. Il giovane, così, partecipa alla guerra di liberazione della Grecia dai turchi. La lotta, però, lo cambia profondamente: viene ferito gravemente, Alabanda deve fuggire perché ricercato e una lettera gli annuncia la morte di Diotima, consunta dal dolore perché lo crede morto. Iperione comincia a vagare senza meta e senza scopo. In Sicilia, alle pendici dell’Etna e, poi, in Germania. Decide, infine, di tornare in Grecia, dove inizia una vita di eremitaggio, scoprendo, ancora una volta, la bellezza della natura, nella quale risuona la voce della sua amata Diotima. Riesce, così, a superare la tragicità della sua solitudine. La poesia di quest’opera insegna ad amare la Grecia, terra dal cui spirito e da quello del cui popolo, parafrasando un altro grande connazionale di Hölderlin, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, è nata tutta la nostra civiltà occidentale.