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C.S.I.

 

Con il muro di Berlino non è caduto soltanto il comunismo, ma un’ideologia in cui hanno creduto o sperato milioni di persone nel mondo, tra cui, certamente, anche il gruppo rock italiano CCCP – Fedeli alla linea (leggi recensione). Fu proprio in seguito al crollo del muro, che Giovanni Lindo Ferretti e soci dichiararono finita l’esperienza CCCP. csi_1_1350747800La band, a cui ogni gruppo rock nato in Italia, dopo il 1990, deve almeno un grazie, si sciolse, passando alla storia. Dopo una lunga pausa, Ferretti e il chitarrista Massimo Zamboni decisero di cimentarsi in una ulteriore esperienza musicale e dare vita ad una nuova band, i C.S.I. (Consorzio Suonatori Indipendenti). Presero parte al progetto Gianni Maroccolo, Giorgio Canali (destinato a divenire una sorta di guru per il rock indipendente italiano), Francesco Magnelli e la cantante Ginevra Di Marco. Dei vecchi CCCP restarono fuori Fatur (artista del popolo) e Annarella (benemerita soubrette). Nel 1994, il disco d’esordio, “Ko’ de mondo“, I dischi del mulo (ascolta). Un po’ del vecchio punk filosovietico alla CCCP era ancora presente, ma, per il resto, ci si trova dinanzi a un’opera innovativa e sperimentale. Il disco suona deciso e asciutto, gli arrangiamenti delle chitarre precisi e ordinati, ben lontani dal grunge, che impazzava, proprio in quegli anni, in quel di Seattle. La voce di Ferretti è la solita si conosce, fin dei tempi dei CCCP. Dopo il primo lavoro in studio, la band decise di proseguire con “In quiete“, I dischi del mulo, un live acustico, sempre del 1994. Nel disco, brillano alcuni capolavori dei vecchi CCCP, riarrangiati in chiave acustica, che acquisiscono una nuova e indiscussa bellezza. Basti pensare allo timthumb.phpstupendo arrangiamento di “Allarme” (ascolta). Per il capolavoro della band bisogna, però, aspettare il 1996. Proprio in quell’anno, infatti, i C.S.I. diedero in pasto al pubblico “Linea gotica“, Polygram (copertina a sinistra), un album dedicato al mito della resistenza, in particolar modo, a quella bosniaca di Sarajevo. Significativa la scelta di mettere in copertina la foto della biblioteca di Sarajevo che brucia, simbolo di una cultura millenaria e della convivenza tra diversi popoli ed etnie. Il disco si caratterizza per una ricerca spasmodica dell’intimità, testimoniata dalla quasi totale assenza delle percussioni, dai ritmi lenti e dalla uniformità timbrica delle chitarre. Il punto di partenza dell’album è proprio Sarajevo, città assediata, dove si consuma una tragedia che riguarda l’Europa tutta. “Cupe Vampe” (ascolta), il primo brano del disco, trasporta nell’apocalisse della città bosniaca con il solenne, ma sofferto, cantato di Ferretti, la malinconica chitarra acustica e il violino, che risuona cupo e ostinato. Segue l’oscura e misteriosa “Sogni e sintomi” (ascolta), caratterizzata dal suono del basso, capace di inquietare l’ascoltatore 5a26396039c8eeeea93b200dbbe986a1_668x376per tutta la durata del brano. Non ci sono parole, poi, per descrivere “E ti vengo a cercare” (ascolta), realizzata in collaborazione con Franco Battiato. Ci si trova di fronte a una canzone d’amore, spiazzante, romantica e sensuale, introdotta da chitarre distorte, che si intrecciano magicamente, con Ferretti che duetta maestosamente con i cori di Ginevra Di Marco. “E ti vengo a cercare” è, senza ombra di dubbio, uno dei momenti più alti dell’album e della carriera dei C.S.I. Altra perla del disco è “Esco” (ascolta), la cui parte finale, in particolare, è magnifica: le chitarre dialogano perfettamente con la batteria e con il resto degli strumenti, a testimonianza dell’immensa professionalità dei musicisti. In “Blu” (ascolta), vi è la dimostrazione dell’importanza della voce secondaria di Ginevra, senza la quale, sicuramente, i C.S.I. non sarebbero stati così grandi. “Millenni” (ascolta) è un brano che analizza, in maniera molto critica, le religioni e le infinite contraddizioni che vi sono in esse. “L’ora delle tentazioni” (ascolta) è un altro pezzo stupendo, hqdefaultnove minuti in cui il pianoforte accompagna la delicatissima voce della Di Marco e un Ferretti più ispirato che mai. L’album chiude in bellezza con “Irata” (ascolta), brano molto ispirato e ricco di citazioni letterarie. “Linea Gotica” può, dunque, annoverarsi tra i dischi più belli della musica italiana e rappresenta, di sicuro, il capolavoro dei C.S.I. Un album intenso, struggente, maestoso, superbo, ma anche impegnato, dal punto di vista sociale, indimenticabile, fragile e maledettamente malinconico. Per usare le parole di Giovanni Lindo Ferretti, ‘’Linea Gotica è un disco di chitarre elettrificate. A conti fatti, è questo il suono del nostro tempo, per quanto detestabili possano essere questo tempo e questo suono“.

Pier Luigi Tizzano

 

 

Mercury Rev

 

Il percorso artistico dei Mercury Rev, eroi della psichedelia contemporanea, è stato tanto poliedrico quanto spericolato, iniziato, coi primi lavori, all’insegna di una psichedelia caotica e delirante e continuato con la riscoperta di un certo pop genuino e orchestrale, condito con atmosfere barocche. I Mercury Rev rappresentano una delle più importanti mercuryrev_1_1354103595realtà dell’underground negli ultimi due decenni. La loro musica affonda le radici nel più glorioso passato. In essa, sono riconoscibili sicuramente influenze beatlesiane, tenue psichedelia stile Velvet Underground e atteggiamenti tipici del progressive. I Mercury Rev nascono nel 1989 a Buffalo, Stati Uniti, e, dopo qualche anno di gavetta e creazioni di colonne sonore per film minori, si ritrovano con la formazione definitiva. Il nucleo iniziale comprende l’originale ed eccentrico David Baker alla voce, il chitarrista Sean “Grasshopper” Mackiowiak, la flautista Suzanne Thorpe, Jimmy Chambers alla batteria, Jonathan Donahue alla chitarra e seconda voce e il bassista Dave Fridmann, già produttore e ingegnere del suono per i Flaming Lips. La storia del gruppo può essenzialmente suddividersi in due grandi fasi: una prima, in cui a farla da padrone è certa psichedelia delirante e drogata, a tratti demente e spesso molto caotica, e una seconda, in cui la band “riscopre” la canzone classica, fatta di strofa e ritornello, e condita da orchestre barocche e atmosfere degne del pop più genuino. Capolavoro della prima fase è “Yerself is steam“, Columbia Records, 1991. Il disco è talmente originale che riesce ad emanciparsi da qualsiasi forma di rock in voga all’epoca. E’ naturalmente lontano anni luce dal grunge (genere che non mai avuto nulla a che vedere con la psichedelia), ma anche da certa psichedelia tipicamente statunitense e dal sound shoegaze. “Yerself is steam” (ascolta) è essenzialmente un disco anarchico, che gioca tutto, o quasi, sulle dissonanze delle chitarre e su dolci melodie di flauto, che creano una atmosfera stralunata e delirante, a volte persino romantica. Dal disco viene Mercury+Revestratto come singolo “Chasing a bee” (ascolta), una ballata malata e decadente, in cui chiaramente si intuisce il devastante uso di droga della band. Da menzionare anche “Blue and black” (ascolta), agghiacciante melodia, retta da piano e orchestra, e cantata da un Baker più stravolto che mai. Degna di nota, anche “Sweet oddysee of a Cancer Cell T’ Th’ Center Of Yer Heart” (ascolta), pura sinfonia di rock psichedelico che accumula, per tre minuti, una tensione in grado di snervare l’ascoltatore, per poi esplodere in uno tsunami di distorsioni ululanti. Il pezzo è uno dei capolavori della band, una sintesi perfetta e cinica del loro modo di fare musica. L’apoteosi del loro rock è, però, nel pezzo finale, “Very sleepy rivers“, (ascolta) una ballata spettrale, dall’atmosfera opprimente e claustrofobica, dove la chitarra ripete in continuazione una melodia svogliata e Baker, come in preda a un bad trip, canta in modo delirante, prima biascicando, poi urlando come un indemoniato. Il disco è un fulmine a ciel sereno, una sorta di anomalia nel panorama rock dell’epoca. Poche band riescono a suonare un rock così rumoroso ma condito da arrangiamenti curatissimi nei dettagli e melodici. Purtroppo, per una serie di vicissitudini discografiche, e a causa di Baker, che suona sempre imbottito di droghe, rovinando spesso le esibizioni live, l’album non avrà un gran successo e sarà snobbato da gran parte della critica. Dopo “Yerself is stem“, è la volta di “Boces” Beggars Banquet Records, 1993, secondo disco del primo corso psichedelico della band. “Boces” è, però, meno estremo e più dolce nelle melodie, ben lontano, quindi, dall’essere il clone del primo disco.Mercury_Rev_Lo_Res_Album_Art Dopo “Boces“, inizia la seconda fase della loro carriera musicale, all’insegna della riscoperta della canzone classica e del pop barocco e orchestrale. Simbolo per eccellenza di questo nuovo corso è “Deserter’s song“, V2 Records, 1998 (copertina a destra). “Deserter’s song” è un album elegante e dall’orchestrazione magniloquente, dalle atmosfere che richiamano la Belle Époque e dal cantato dolce e aggraziato. In quasi ogni pezzo del disco è presente una sorta di progressione per accumulazione, in base alla quale le canzoni iniziano con arrangiamenti scarni, eseguiti da pochi strumenti, per sfociare, pian piano, in un’apoteosi di suoni, che creano atmosfere sognanti. L’apertura è affidata a “Holes” (ascolta), canzone fiabesca e incantata, che sembra quasi aver la capacità di fermare il tempo. Poi, il capolavoro “Tonite it shows” (ascolta), introdotto da xilofono e fiati, cui seguono arie fantasy che accompagnano l’ascoltatore in un mondo di fiabe e folletti. “I collect coins” (ascolta), invece, spiazza tutti. Dopo aver messo in mostra la loro abilità di arrangiatori classici, i Mercury Rev, con questa mini ballata di piano, sembrano portare indietro nel tempo, per far assaporare la bellezza della musica anni ‘30. “Opus 40” (ascolta) è il pezzo più melodico del disco, un’orgia di suoni, colori e vitalità, un ritornello dalla spontaneità disarmante. “Hudson line” (ascolta) è una melodia hqdefaultingenua e infantile, puntellata dal sassofono e da sporche chitarre elettriche. “Goddess on a Highway” (ascolta) è il pezzo più rock del disco, anche se mantiene costante spensieratezza e ingenuità. “Deserter’s song” è, in conclusione, un capolavoro in cui tutto è perfetto, lussuoso e trasognante. Un’opera maestosa che non si può ascoltare con leggerezza, ma viverla e starci dentro. E’ un disco che chiede intimità, da ascoltare in solitudine, per poter essere apprezzato a fondo e capirne la grandezza. “Deserter’s song” è un disco assolutamente privo di tempo e avulso dal suo tempo, che si eleva fino ad altezze irraggiungibili per la maggior parte delle band anni ‘90. E’ forse la più bella esperienza musicale dei ‘90.

Pier Luigi Tizzano