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Giambattista Marino: il principe del Barocco

 

 

 

 

Il principe dei poeti del Seicento, il vero re del secolo, l’uomo che diede l’impronta all’intera stagione poetica barocca, nacque a Napoli il 14 ottobre 1569. Trascorse l’infanzia felice nella sua città, frequentando ambienti intellettuali e culturalmente molto stimolanti. Sin da ragazzino, amò così tanto le lettere che al momento di cominciare a pensare seriamente al futuro litigò col padre, che lo avrebbe voluto uomo di legge, se andò via da casa e visse spensieratamente la sua passione. Era al servizio di Matteo di Capua, principe di Conca, quando capì che la vita di corte sarebbe stata l’unica a potergli garantire tutto quello che voleva: successo, soldi e belle donne. Per ottenere ciò, non esitò ad usare mezzi non sempre legali: Frans_Pourbus_the_Younger_-_Portrait_of_Giovanni_Battista_Marinofu, infatti, incarcerato due volte, la prima, per aver sedotto una minorenne, costringendola all’aborto, e la seconda, per aver falsificato alcune bolle vescovili. Influenti protettori, comunque, gli garantirono sempre i salvacondotto per uscire di galera. Di corte in corte, a Torino, nel palazzo di Carlo Emanuele I di Savoia, per entrare nelle grazie del duca e cercare di stabilirvisi, vitto e alloggio spesati, scrisse un Ritratto del serenissimo Don Carlo Emanuello duca di Savoia, che gli valse la nomina a Cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro, un’onorificenza importantissima la quale, però, fece morire d’invidia il poeta di corte Gaspare Murtola che addirittura tentò, senza riuscirci, di ammazzarlo. Marino, invece del coltello, per rispondere, usò la poesia, componendo la Murtoleide, una raccolta di sonetti dove lo combinò proprio male. Visse diversi anni dai Savoia, non sempre idillicamente, a causa della sua disinvoltura nel comporre versi, che spesso facevano infuriare i cortigiani e i suoi benefattori. La sua fama, intanto, cresceva giorno dopo giorno, così che, nel 1615, la Carla Bruni Sarkozy dell’epoca, ovvero Maria de’ Medici, non perché fosse modella e cantante, quanto piuttosto moglie del re di Francia Enrico IV, lo chiamò a palazzo come poeta di corte. A Parigi, il cavalier Marino se la spassò alla grande: col ricco stipendio di cortigiano versatogli dalla regina poté vivere come un nababbo, collezionando quadri, opere d’arte e la biancheria intima delle dame che passavano per la sua camera da letto. Scrisse molto in questo periodo, pubblicando quasi tutte le sue opere e una sontuosa edizione dell’Adone, il suo maggiore poema, tutto a spese del re Luigi XIII, il figlio di Maria. Qualche tempo dopo, però, le cose cominciarono a cambiare anche a Parigi. Decise, così, di tornare nella sua Napoli, dove fu accolto come un trionfatore, più di Fabio Cannavaro dopo la vittoria ai Mondiali di calcio del 2006. Turbato oltremodo dalle rotture di scatole dell’autorità ecclesiastica, riguardo la lussuria e le sconcezze contenute nell’Adone, morì all’ombra del Vesuvio il 25 Marzo 1625.

Le opere

Marino pubblicò la sua prima raccolta poetica nel 1602, intitolandola Rime, e, poi, ampliandola, per un totale di circa 900 componimenti, dati alle stampe dodici anni dopo, col titolo La Lira. Vi sono inclusi sonetti di vari argomenti: amorosi, sacri, encomiastici, boscherecci, marittimi, lugubri ed eroici.

“Or che da te, mio bene,
Amor lunge mi tiene, il pensier vago
spesso innanzi mi pon l’amata imago.
E qual ape ingegnosa,
quindi un giglio talor, quinci una rosa
scegliendo a suo diletto,
rappresentar mi sole
ne le più belle forme il caro oggetto;
e spesso mostra al cor, ch’egro si dole,
la tua beltà nel Ciel, gli occhi nel Sole”.

(Nel medesimo suggetto, 11)

“È sogno o ver? Se sogno, ahi, chi depinge
viva la bella imagine ala mente?
Come fiamma sì lucida e sì ardente
gelid’ombra notturna esprime e finge?”

(Sogno, vv. 1 – 4)

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Con La Sampogna, crestomazia divisa in due parti, otto idilli favolosi e quattro pastorali, Marino si confrontò con i miti greci e i drammi pastorali. Ne viene fuori un paesaggio silvano e bucolico arricchito dal prezioso linguaggio poetico dell’Autore.

“Seguillo il pin robusto,
carco di duri e noderosi scogli,
che per cercar de la perduta figlia
a la feconda dea prestò le faci;
seco condusse la compagna quercia,
arbore a Giove cara, e de le ghiande
(cibo de’ primi eroi) madre ferace”.

(La Sampogna, Idilli favolosi, Orfeo, vv. 762 – 768)

La Galeria, invece, sempre nello stile meraviglioso ed emozionante del poeta, è una raccolta di componimenti dedicati alla descrizione di opere d’arte, pitture e sculture, reali o immaginarie. Cosa fu Marino se non un pittore di parole e concetti? La sua poesia si avvale delle pennellate del prezioso e del ricercato, del sublime e dell’immaginifico, del viaggio della mente (con o senza sostanze illegali!).

L’Adone

Adone, scampato ad una terribile tempesta, approda sull’isola di Cipro, dove la dea Venere ha il suo bel palazzo. Cupido scocca una freccia e fa innamorare la madre del principe che, svegliatosi, viene pure lui colpito da un dardo, ricambiando, così, l’amore di Venere. imagesAdone, tutto innamorato della bella Cipride, ascolta Cupido e Mercurio mentre gli raccontano storie d’amore e viene poi accompagnato nel Giardino del Piacere, diviso in cinque parti, ognuna corrispondente ad uno dei cinque sensi, e alla fontana di Apollo. Marte, avvertito da Gelosia che Venere ama qualcun altro, corre a Cipro. Adone, avvertito in tempo, scappa e viene trasformato in un pappagallo per aver rifiutato l’amore di Venere. Mercurio, però gli fa riprendere il suo vero aspetto e, dalla padella alla brace, viene sequestrato da una banda di ladroni. Tornato a Cipro, dopo aver vinto una gara di bellezza, è incoronato re dell’isola e si riavvinghia a Venere ma Marte, durante una battuta di caccia, lo fa uccidere da un cinghiale. Adone muore fra le braccia di Venere, che trasforma il suo cuore in un fiore rosso, l’anemone. Solenni giochi funebri sono allestiti per onorare il bel giovane. Quest’opera è tra le più lunghe di tutta la Letteratura Italiana: 5.033 ottave, per un totale di 40.264 versi, distribuiti in venti canti. L’Adone è un poema sostanzialmente antinarrativo perché l’esile trama è soltanto il ponteggio adottato dell’Autore per edificare il suo castello di metafore e concetti, che tanta parte avevano nella poetica della meraviglia barocca. Marino dovette dare fondo a tutta la sua potenza immaginifica per costruire un’opera nella quale non è difficile perdersi, appunto perché manca il filo di Arianna, rappresentato dalla narrazione lineare degli eventi. Esso è un poema per immagini, come una galleria d’arte, dove sono esposti i quadri più splendidi e differenti. Descrittività, mito, citazioni, altissima ritmicità metrica e lirica, ne sono componenti fondamentali.