Siamo alle solite: quando qualcosa è suscettibile di stravolgere la vita di milioni di cittadini, nel nostro Paese si evita scientemente di parlarne, sia mai che qualcuno di troppo riesca a farsi un’idea su chi stia combinando cosa e con quali effetti! TTIP è l’acronimo di Transatlantic Trade and Investment Partnership e trattasi dell’accordo di libero scambio tra UE e USA, definito il più grande della storia (cd. “NATO economica”). L’intesa nasce nel 2007, con l’istituzione del Consiglio Economico Transatlantico. Successivamente, nel febbraio 2013, il presidente della Commissione Europea Josè Manuel Barroso, il presidente statunitense Barack Obama e il presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy (in foto da sinistra a destra) annunciano l’avviamento delle procedure interne per lanciare il negoziato. Infine, il 14 giugno 2013, il Consiglio Europeo investe la Commissione del mandato per negoziare, a nome dell’UE, sul TTIP. In base a quanto trapelato, l’accordo prevede l’eliminazione dei dazi e delle barriere non tariffarie tra Stati Uniti ed Unione Europea, la semplificazione della compravendita di beni e servizi fra le due aree e, come conseguenza, lo sviluppo economico delle due macroaree, favorendo la creazione di nuovi posti di lavoro e l’abbassamento dei prezzi. Tutti obiettivi lodevoli ma, nella sostanza, cosa sarebbe necessario per il loro perseguimento? La loro realizzazione prevede obbligatoriamente una sostanziale deregulation che passi per l’allineamento e l’armonizzazione delle norme sul commercio, sull’ambiente, sulla salute e sul lavoro. Le fonti ufficiali dell’UE indicano quale uno dei punti alla base della partnership quello della formulazione di nuove regole comuni, nei settori interessati dall’accordo, che abbiamo il preciso scopo di sanare le divergenze, attualmente esistenti tra le due legislazioni. Nell’annunciare quest’intenzione hanno, comunque, assicurato il rispetto degli standard esistenti a livello europeo nei settori ambiente, salute, sicurezza, privacy, diritti dei lavoratori e dei consumatori. L’UE ha affermato come le politiche già intraprese in questi ambiti “non siano sul tavolo delle negoziazioni”. C’è da credergli? Il sistema europeo è iper-regolato e, in generale, presenta tutele e ammortizzatori più solidi rispetto a quello americano, proveniente da anni di deregulation. Un’armonizzazione dei due sistemi è molto complicata e potrebbe causare, soprattutto in una prima fase, vuoti normativi che favorirebbero le grandi multinazionali americane a discapito delle nostre piccole e medie imprese (PMI), che vedrebbero, così, messa a rischio la loro stessa sopravvivenza. Stando sempre alle indiscrezioni (giova qui ricordare che le trattative sono condotte in gran segreto), uno dei principali problemi dell’accordo è il mutuo riconoscimento, secondo cui se una cosa è commerciabile in USA lo sarà anche in Europa. Via libera, dunque, a OGM senza etichettatura, a carne gonfia di ormoni e antibiotici e a pesticidi attualmente vietati in Europa… con tanti saluti alle promesse sbandierate. Non bastasse, se uno Stato membro non dovesse essere d’accordo, dovrà comunque piegarsi alle multinazionali, le quali, attraverso l’ISDS (Investor to State Dispute Settlement), una sorta di camera arbitrale, potranno citare in giudizio, per danni, enti locali e Stati sovrani che dovessero ostinarsi a vietare la commercializzazione di determinati beni. Ben vengano, quindi, le iniziative dei soliti cittadini disfattisti e malpensanti. È grazie alle loro pressioni se oggi possiamo giovare di un minimo di trasparenza in più su questo argomento.
Anche in Italia, pian piano, si sta muovendo qualcosa e le adesioni alla campagna “Stop TTIP” continuano a crescere. Per quanti la pensassero allo stesso modo, è possibile firmare la petizione attraverso questo link: http://stop-ttip-italia.net/
Giuseppe De Simone