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Sigur Rós

 

Se l’emozione avesse un nome, con ogni probabilità, si chiamerebbe Sigur Rós. La musica della Rosa della Vittoria (così, Sigur Rós viene tradotto dall’islandese all’italiano) è il genuino frutto dell’incontro tra tanti stili e suggestioni artistiche. Sigur RósUn decadente e romantico mix tra psichedelia, shoegaze, dream pop e post rock, con una strizzatina d’occhio all’eleganza senza tempo della musica classica. Il risultato è una musica più unica che rara, tremendamente sentimentale, tormentata, fragile, capace di emozionare fino ai brividi e fortemente istintiva. Una musica che ha fatto innamorare mezzo mondo, proiettando i Sigur Rós su palcoscenici sempre più importanti. La storia della band comincia nel 1994 in Islanda. Inizialmente, il gruppo è un terzetto formato da un chitarrista cantante, Jónsi Birgisson, un bassista, Georg Hólm, e un batterista, Ágúst Ævar Gunnarsson. La loro carriera prende il volo in men che non si dica, grazie alla connazionale Bjork (cantante e produttrice discografica), che nota subito la grande abilità della band nel creare una musica semplice ma disarmante e inserisce una loro canzone in un’antologia per celebrare i 40 anni dell’indipendenza islandese dalla Danimarca. Qualche anno dopo, l’album di debutto: Von. Il disco mette subito in chiaro la propensione della band verso atmosfere psichedeliche ed è solo l’inizio di un percorso artistico, coronato da successi in ogni dove e vendite da capogiro. Una carriera ancora attiva e coronata, ultimamente, da Kveikur, il loro disco più rock. Ma il capolavoro, forse la pietra miliare della band, l’album Sigurros()che più di tutti rappresenta il manifesto per eccellenza del loro modo di fare musica, è ( ) (copertina a sinistra), FatCat Records. ( ) è il terzo lavoro in studio degli islandesi, datato 2002. Il disco mette a nudo i Sigur Rós, rinunciando sia alla sperimentazione psichedelica del primo lavoro (Von), sia alle partiture orchestrali del suo predecessore (Agaetis Byrjun). La band islandese, con questo lavoro, punta al più totale minimalismo: nessun titolo, nessuna informazione, nessuna lingua con cui esprimersi (come già accaduto per i Cocteau Twin). Birgisson, infatti, non utilizza alcuna parola, ma solo suoni insensati e improvvisati, finendo per usare la voce come un altro strumento, che si aggiunge al già straordinario sound. L’album si compone di otto lunghe tracce, in cui si possono trovare le più disparate influenze, dai Radiohead al post rock e allo slowcore dei Low. Ci sono, ovviamente, anche echi dei Pink Floyd e di un certo modo di fare psichedelica. La più grande forza dei Sigur Rós sta proprio nel riuscire a mescolare tante influenze, reinventandole in un sound personalissimo, che ancora oggi è tra i più innovativi della scena rock mondiale. In questo disco c’è solo la musica, una musica che emoziona come poche e che affiora lenta e inesorabile, intensa, fragile e struggente. I brani non hanno nomi e non ci sono testi. L’ascoltatore è padrone di dare qualsiasi titolo alle otto tracce del disco e di inventare qualsiasi testo. L’unica pecca di questo album è forse un’eccessiva tendenza al melenso e al lacrimevole, ma, per fortuna, questa è eccedente solo nella prima traccia (ascolta), una struggente e ripetitiva frase di piano, sulla quale il cantato di Birgisson sembra quasi far male al cuore.sigur_ros La seconda traccia (ascolta), forse la più astratta del disco, è composta da tenui gemiti campionati, sui quali si inseriscono gli altri strumenti, con una calma e una lentezza quasi straziante. La traccia numero tre (ascolta), invece, è pura poesia, un lento crescendo di piano, che regala sei minuti di emozioni pure, sei minuti di tregua e di pace, sei minuti lontani da un mondo sempre più alieno e crudele. Poi, c’è la quarta traccia (ascolta), una tenerissima e melodica marcia, che avanza piano fino a quando una paradisiaca melodia di tastiera non introduce la parte finale, basata su un sound più duro e una batteria che picchia più minacciosa. Ma in questo disco non c’è solo pace. Dalla traccia numero sette (ascolta), i Sigur Rós cominciano ad alternare momenti di quiete e di tempesta. Emblematico, in tal senso, è il caso dell’ottava e ultima traccia (ascolta), che sul finire viene brutalmente travolta da una cavalcata di suoni psichedelici e dall’incalzare di una batteria massiccia e metallica.15e4d2c0-162c-11e3-a5c8-720952d2a5e4 ( ) è, in definitiva, l’album della maturità artistica e stilistica dei Sigur Rós. Con esso, la band finalmente trova la sua dimensione sonora ideale. L’unico scopo di ( ) è regalare un’emozione sincera e genuina, far tornare bambini, innocenti e candidi, liberare dal peccato. ( ) ci offre un aiuto per estraniarci da quella prigione che noi umani abbiamo costruito con le nostre stesse mani. E’ un disco da ascoltare nel buio della nostra stanza, con gli occhi chiusi e il cuore aperto verso il magico mondo che ci offre, un mondo fatto di maestosi paesaggi, visioni paradisiache, fate, folletti e gnomi. Un mondo libero, colmo di gioia infantile e amore.

Pier Luigi Tizzano

 

 

Godspeed You! Black Emperor

 

Spesso abbreviati in GYBE, sono un gruppo musicale di Montreal (Canada), attivo dal 1994, scioltosi nel 2003 e riunitosi nel 2010. Il nome della band deriva da un documentario giapponese del 1976, sulla vita di una biker gang, termine col quale, in Giappone, sono indicati gruppi di teppisti che agiscono in sella alle loro moto. La band propone una musica particolarissima e personalissima a un tempo. 52e0fa308cc4eDifficile inquadrarli in un genere, perché i GYBE sono tutto e niente, sono un miscuglio di suoni e di emozioni che sfociano in lunghe suite dai motivi epici, fatte di accelerazioni, decelerazioni, salti, cadute, fasi statiche e decolli furiosi. Tra post rock, psichedelia e progressive,  la  musica  dei  GYBE  (foto a destra) rapisce l’ascoltatore e lo proietta in una dimensione parallela, dominata da riverberi, voci soffuse e immesse quasi casualmente, digressioni rabbiose, esplosioni psichedeliche e ballate blues. In una intervista, il bassista della band, Mauro Pezzente, ha affermato: “Non ci sentiamo parte di nessuna comunità musicale ed è preoccupante che parecchi gruppi possano apparire simili a noi.” Su di loro sono state dette tante cose. C’è addirittura chi giura che la loro musica provenga dallo spazio. Ma non è così. I GYBE sono semplicemente degli artisti geniali che hanno coniato un sound unico ed esclusivo, dei musicisti straordinariamente spontanei che non badano alle logiche ferree del marcato e a cui non importa niente del successo e delle vendite. Suonano quel che sentono, istintivamente, e hanno i loro buoni e fedeli fans. MI0000298211Sempre in una intervista hanno dichiarato di essere consapevoli che la loro non è una musica per le masse e di non importarsene nulla. La band ha raggiunto l’apice della maturità stilistica con l’album del 2000, Lift Your Skinny Fists Like Antennas to Heaven, Constellation Records (foto copertina a sinistra). In questo disco, composto di quattro lunghe suite, riescono a fondere formidabilmente il rock e la musica classica, senza dimenticare momenti di intimo blues e di fiammante psichedelia. I pezzi di quest’album potrebbero sembrare delle lunghe jam session, dei lenti crescendo, con effetti sonori sparsi qua e là e voci registrate tratte da film, interviste o trasmissione televisive. Si potrebbe dire che il disco sia diviso in due grandi parti: una caotica e l’altra onirica. La prima presenta un suono crudo e brutale. Dopo l’ouverture di pochi minuti, seguono suoni lancinanti e distorti, che si uniscono a strumenti della musica classica, come a creare una vera e propria tempesta musicale. La seconda parte, invece, si apre con l’intervista a un anziano che parla della sua infanzia a Coney Island. imagesR45840M0Mentre si ascolta una voce mesta e colma di nostalgia, un arpeggio di chitarra inizia a costruire una struggente malinconia che cresce, si smorza e, infine, ricresce. La rabbia della prima metà del disco si è trasformata in pace e il sound può riportare direttamente al dream pop etereo degli anni ‘80 e a quei maledetti folli islandesi dei Sigur Ros. Lift Your Skinny Fists Like Antennas to Heaven non è un disco di facile ascolto, potrebbe risultare addirittura noioso ad alcuni, ma una cosa è certa: si è dinanzi a un capolavoro dell’arte contemporanea, meraviglioso, stralunato, esagerato, sfrontato, esplosivo. Ascoltarlo sarà certamente un’esperienza unica e indimenticabile.