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Il paradosso della sottomissione

Potere e libertà nel Discorso sulla servitù volontaria
di Étienne de La Boétie

 

 

 

 

 

Il Discorso sulla servitù volontaria (Discours de la servitude volontaire) è un’opera scritta intorno al 1576 dal pensatore francese Étienne de La Boétie. Sebbene il testo sia breve, contiene una riflessione profondamente radicale sul potere e sull’obbedienza, tanto da renderlo una dei testi più significativeinella storia del pensiero politico. Il suo fulcro è il paradosso della “servitù volontaria”, ovvero il fatto che interi popoli si sottomettano spontaneamente al dominio di un solo uomo, pur avendo la forza per rovesciarlo.
Étienne de La Boétie nacque nel 1530 a Sarlat, in Francia, e morì prematuramente nel 1563. Era un umanista e magistrato vicino al pensiero di Montaigne, che fu suo grande amico e che ne curò la memoria. Il Discorso sulla servitù volontaria fu probabilmente scritto quando La Boétie aveva circa 18 anni e non venne pubblicato durante la sua vita.
Il periodo in cui l’opera venne concepita era caratterizzato da un forte centralismo monarchico in Francia e dalla crescente tensione tra cattolici e protestanti, sfociata nelle guerre di religione. L’opera riflette dunque un contesto di instabilità e di dibattito sulla legittimità del potere e sull’obbedienza ai sovrani. Anche se alcuni hanno ipotizzato che fosse una critica implicita alla monarchia francese, il testo ha una portata più universale: non si scaglia contro un particolare regime, ma contro il principio stesso della tirannia e della sua accettazione passiva da parte dei popoli.
Il cuore del Discorso è il quesito centrale: perché le persone accettano la tirannia? La Boétie rifiuta l’idea che i tiranni governino esclusivamente attraverso la forza. Al contrario, egli sostiene che il potere di un oppressore derivi dal consenso che i sudditi gli concedono, anche inconsapevolmente. La servitù è dunque “volontaria”, non perché imposta apertamente, ma perché accettata per inerzia, paura o convenienza.

La Boétie identifica diversi meccanismi attraverso i quali i popoli finiscono per accettare la loro condizione di sottomissione. Le persone crescono in un contesto in cui il potere del tiranno viene considerato normale e inevitabile, sviluppando così un’abitudine alla sottomissione. I regimi, attraverso la propaganda e l’educazione, instillano nella popolazione l’idea che la loro autorità sia legittima, facendo uso di rituali, celebrazioni e simboli. L’illusione del beneficio personale spinge alcuni individui, soprattutto coloro che occupano posizioni di privilegio nel sistema, a sostenere la tirannia per interesse personale. Inoltre, i tiranni adottano la strategia del “divide et impera”, frammentando il popolo e impedendo la nascita di un’opposizione compatta.
Secondo La Boétie, una volta persa l’abitudine alla libertà, gli uomini non riescono più a concepirla e diventa loro naturale obbedire. Tuttavia, egli sottolinea che la libertà è la condizione naturale dell’uomo e che, dunque, la servitù è una degenerazione, un’aberrazione causata dall’accettazione passiva della sottomissione.
Un punto fondamentale del Discorso è la soluzione proposta per spezzare la servitù: la non cooperazione. La Boétie afferma che il tiranno non ha un potere intrinseco, ma dipende dai suoi sudditi per mantenerlo. Se il popolo smettesse di servire, il tiranno cadrebbe da solo, come un edificio privato delle fondamenta.
Questa idea anticipa il concetto di disobbedienza civile, che sarebbe poi stato sviluppato da filosofi e attivisti come Henry David Thoreau, Mahatma Gandhi e Martin Luther King Jr. La Boétie non incita alla ribellione violenta, ma suggerisce una resistenza passiva e il rifiuto di collaborare con il potere oppressivo.
Il Discorso sulla servitù volontaria ha avuto una lunga eco nella storia del pensiero politico e continua ad essere una lettura fondamentale per comprendere i meccanismi di potere e sottomissione. L’opera ha influenzato il pensiero anarchico e libertario, nonché i movimenti di resistenza non violenta. La sua attualità risiede nel fatto che molti regimi, anche democratici, si basano su dinamiche simili a quelle descritte da La Boétie. I governi possono manipolare l’opinione pubblica attraverso i media, educare alla deferenza verso l’autorità e mantenere il consenso mediante privilegi riservati a certe categorie. Anche oggi, la domanda posta dal filosofo francese rimane fondamentale: perché i popoli accettano il dominio di pochi? E come possono riappropriarsi della loro libertà?
Il Discorso sulla servitù volontaria è dunque un testo rivoluzionario che sfida la concezione tradizionale del potere. La Boétie mostra come il dominio di un tiranno sia possibile solo grazie alla collaborazione dei sudditi e suggerisce che la chiave per la liberazione risieda nella presa di coscienza e nel rifiuto di cooperare con l’oppressore. Il suo pensiero consegna una profonda riflessione sulla libertà individuale e sulla responsabilità collettiva nel mantenere o contrastare le ingiustizie politiche.

 

 

 

 

25 aprile 2015. Sorrento. Libreria Indipendente

 

In occasione della ricorrenza del 25 Aprile, lettura drammaturgica del racconto di Mimmo BencivengaStoria di una notte del ’43”, liberamente ispirato a “Le cinque storie ferraresi” di Giorgio Bassani e ai libri di storia.
Il drammatico ed emozionante testo ha fornito la chiave per alcune riflessioni:
Cosa ne abbiamo fatto noi, oggi, del regalo della libertà? Quanti ci hanno consegnato questo immenso dono erano ragazzini che, in molti casi, avevano appena vent’anni. Forse non sapevano nemmeno cosa stessero andando a fare tra quelle montagne e cosa rischiassero, ma sembrava loro giusto e bello farlo. E molti di quei ragazzini persero la loro vita ma, chissà, se ne andarono contenti. Hanno lasciato un’eredità immensa a noi che ancora dovevamo nascere. Una nazione libera e bellissima. Sarebbe bastato che l’avessimo difesa. Sarebbe stato, non solo nel nostro diritto, ma anche un nostro dovere. Cosa ne abbiamo fatto di questo dono? A chi l’abbiamo affidata? A chi abbiamo consentito e, ancora adesso, consentiamo di governarci? Chi ci ha portati fin sull’orlo del burrone e perché noi glielo abbiamo permesso? La rivoluzione, adesso, quella che dovrebbe scatenarsi ma che, forse, non lo farà, dovrebbe essere una rivolta pacifica, di penna, di luoghi liberi dove poter parlare, di piattaforme, anche virtuali, dove poter far transitare informazioni non manipolate che permettano a ciascuno crearsi proprie opinioni. Recuperare questi spazi per la mente, solo questi spazi, almeno questi spazi, sarebbe già una rivoluzione!
Lettura drammaturgica di “Storia di una notte del ‘43” di Marilena Altieri e Mario Mongiovì. Disegni estemporanei di Maria Teresa Violeta Vitiello. Accompagnamento musicale, con suoni in distorsione, di Frenk Tortora. Interventi e riflessioni di Riccardo Piroddi. Organizzazione di Mimmo Bencivenga, proprietario della Libreria Indipendente.

 

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Le foto sono state scattate e gentilmente concesse da Nino Casola