Simonetta Cattaneo Vespucci (Genova, 28 gennaio (?) 1453 – Firenze, 26 aprile 1476) fu una nobildonna del Rinascimento, amata da Giuliano de’ Medici, il fratello minore di Lorenzo il Magnifico. Ritenuta dai suoi contemporanei come una delle più belle donne viventi, emblema di grazia e bellezza, fu musa di diversi pittori.
È talmente bella che perfino il suo appena percettibile strabismo diviene una meravigliosa virtù. Simonetta Cattaneo Vespucci, la modella che Botticelli utilizzò per dipingere la Venere nella sua celeberrima tela. L’epitome universale della bellezza femminile. Il pittore fiorentino quattrocentesco ha così dimostrato al mondo che bellezza e delicatezza possono, anzi, devono essere sinonimi. (Un taglio di occhi così bello l’ho riscontrato, certamente per altre caratteristiche, soltanto nei volti femminili di Amedeo Modigliani!).
Nel suo magistrale testo “Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti” il Vasari, oltre a narrare nel dettaglio la formazione e le opere dei maggiori artisti, racconta brevi aneddoti di vita quotidiana davvero gustosi. Sandro Botticelli, riferisce il Vasari, era un tipo facile allo scherzo…
Da Vasari in poi, al centro della Primavera di Botticelli si è sempre pensato ci fosse Venere. Ma se in realtà la dea non fosse lei?
La Primavera, il grande capolavoro che Sandro Botticelli eseguì verso la metà degli anni Ottanta del Quattrocento per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici (Firenze, 1463 – 1503) e che oggi è protagonista assoluta del percorso espositivo della Galleria degli Uffizi a Firenze, è sicuramente uno dei dipinti più studiati dell’intera storia dell’arte: da Giorgio Vasari in poi, moltissimi storici dell’arte si sono cimentati nell’interpretazione del dipinto, arrivando…
La terribile ombra d’un invisibile Potere fluttua in mezzo a noi, benché non vista – e visita questo svariato mondo con incostante ala, come le brezze dell’estate che strisciano di fiore in fiore. Come raggi di luna che dietro una montagna fitta di pini scrosciano, visita con sguardo incostante il cuore e il volto di ogni uomo; come colori e armonie la sera, come nuvole disperse nel chiarore delle stelle, come il ricordo d’una musica fuggita, come qualcosa che per sua grazia possa essere cara, e tuttavia più cara per il suo mistero.
II
Spirito di bellezza, che consacri coi tuoi colori ogni pensiero e ogni forma umana su cui splendi – dove te ne sei andato? perché trascorri e lasci il nostro stato, questa oscura e vasta valle di lacrime, deserta e desolata? Chiedi perché per sempre il sole non tessa arcobaleni sul torrente, perché quello che appare, scolori e si dissolva, – perché paura e sogno e morte e nascita sulla giornata della terra gettino un’ombra tale, – e all’uomo venga dato tanto d’amore e d’odio, e di sconforto e di speranza?
III
Da mondi più sublimi nessuna voce ha mai dato ai poeti o ai saggi la risposta – perciò i nomi di Dio, dei demoni e del Cielo, non sono che tracce del loro vano sforzo, incanti fragili, che recitati non aiutano a staccare da tutto quello che sentiamo e vediamo il dubbio, il caso e la mutevolezza. Soltanto la tua luce – come una nebbia sopra i monti, o musica che il vento della notte manda attraverso uno strumento immoto, o il chiaro della luna sulle acque, dà grazia e verità al sogno inquieto della vita.
IV
Speranza, Amore, e Orgoglio, passano come nuvole e ritornano, per qualche incerto attimo concessi. L’uomo sarebbe immortale, e onnipotente, se tu, ignota e terribile, fissassi col tuo glorioso seguito dimora nel suo cuore. Tu messaggero degli affetti che crescono e declinano negli occhi degli amanti – tu – che alimenti il pensiero umano, come l’oscurità una fiamma morente! non ti partire come la tua ombra venne, non ti partire – o la tomba sarà come la vita e la paura, un’oscura realtà.
V
Fanciullo ancora, andavo in cerca di spettri e attraversavo fugace stanze vigili, rovine e anfratti, e boschi al chiarore delle stelle, con timorosi passi perseguendo speranze d’alto conversar coi morti. E invocavo i nomi velenosi che nutrono la nostra giovinezza; non fui ascoltato – non li vidi – quando, mentre ero assorto sul destino del vivere, nel dolce tempo in cui i venti corteggiano tutte le cose vive che si destano per recare nuove gemme e fiori, – all’improvviso, la tua ombra cadde sopra di me; io detti un grido, e giunsi le mani in rapimento!
VI
Allora feci il voto di consacrare le mie forze a te e a ciò che t’appartiene – non l’ho mantenuto? Con cuore palpitante e occhi in lacrime, adesso dai loro taciti sepolcri invoco i fantasmi di mille ore, che in pergolati chiari di visioni, d’ardente studio o dilettoso amore, hanno vegliato con me l’invida notte – e sanno che mai gioia illuminò questa mia fronte non giunta alla speranza che tu avresti liberato il mondo dalla sua oscura schiavitù che tu – terribile splendore, avresti dato ciò che la parola non può esprimere.
VII
Il giorno diventa più solenne e più sereno, trascorso il meriggio – c’è un’armonia in autunno, e una luce nel suo cielo, che nell’estate non si sente e non si vede, come se non potesse esserci, come se non ci fosse stata! Così il tuo potere, che come la verità della natura sulla mia inerte giovinezza discese, alla mia vita d’ora innanzi doni la sua calma – a uno che ti adora, e venera le forme in cui sei infuso, e che i tuoi incanti, spirito bello, spinsero a temere se stesso, e amare tutti gli uomini.
(Percy Bysshe Shelley, Inno alla bellezza intellettuale, 1816)
Sandro Botticelli, “La nascita di Venere” (1482-1485) tempera su tela di lino (172×278 cm), Firenze, Galleria degli Uffizi (video da www.restaurars.altervista.org)