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Cecco Angiolieri e la poesia giocosa

 

 

Un uomo così sfaccendato, bighellone, perdigiorno e sfaticato, credo di non averlo mai incontrato nella storia della Letteratura Italiana. Chissà, può darsi si infastidì pure di nascere, a Cecco-AngiolieriSiena, nel 1260. Il padre Angioliero, della nobile e ricchissima schiatta degli Angiolieri, banchiere solerte e intraprendente, anche se un po’ avaro, a sua volta figlio di un finanziatore di papa Gregorio IX e dei principi di mezza Europa, Angioliero detto Solàfica, si crucciò ogni giorno della sua vita per quel rampollo così diverso da lui, anzi, proprio il suo opposto, tanto da dubitare della sua stessa paternità: “Mater semper certa est, pater numquam! Che cosa hai combinato, moglie?”, soleva ripetere alla consorte, Lisa dei Salimbeni. Nulla poté col suo erede, comunque. Anzi, dovette pure sentirsi augurare, più volte, dal figlio ingrato, la morte. Cecco frequentò le scuole dell’obbligo senza voglia, quel tanto che bastava per prendere il diploma, e si interessò giusto un pochino di politica, combattendo, con i guelfi, contro alcune città ghibelline della Toscana. Spesso fu multato perché, senza chiederne il permesso, si allontanava dal campo di battaglia, andava a imboscarsi, si sdraiava dietro qualche cespuglio e schiacciava un pisolino. Come lui stesso ci ha raccontato, ebbe tre grandi passioni: le donne, la taverna e ‘l dado. Alla sua morte, i cinque figli rifiutarono addirittura il lascito paterno perché c’erano più debiti da pagare di ciò che avrebbero ereditato. “Alla faccia vostra!”, borbottò Cecco quando, fino all’altro mondo, gli giunsero le 20-alimenti_vino_rossotaccuino_sanitatis_casanatense_4182maledizioni della prole. Fu un tipo che, in fin dei conti, volle e seppe godersi la vita: lavorò (si fa per dire!) il minimo indispensabile, spendendo tutto il suo tempo e tutte le sue fortune tra sottane, bottiglie e tavoli da gioco. Cecco era sempre allegro e prendeva in giro tutti. Di sera, all’osteria, quando alzava il gomito, avventori e puttane gli si raccoglievano intorno, non aspettando altro che lui cominciasse le sue tiritere contro le donne e contro chi lo aveva alleggerito al tavolo verde. Anche la sua poesia risentiva delle sbronze della notte prima e del suo modo spensierato e divertente di guardare in faccia alla vita. E infatti, si fece beffe, parodiandolo, dell’amore “sacro” del Dolce Stil Novo. Nei suoi versi, tra dispetti, ripicche, piatti e bicchieri rotti, morti tirati appresso, bisogno continuo di danaro e tradimenti, le donne che lo seguivano nelle bettole malfamate che frequentava, erano spesso popolane volgari, senza alcuna grazia e gentilezza, sessualmente affamate e prive di qualsiasi retta virtù. La sua poesia, per la prima volta nella storia della nostra Letteratura, raggiunse anche i ceti meno abbienti delle città, liberandosi di quell’elitismo, a volte un po’ snob, che gli stilnovisti le avevano conferito, affinché si rivolgesse soltanto a ristrette cerchie di “superiori” amanti del sapere. Sentiamoci questo vivace scambio, da morire dal ridere, tra il poeta e una certa Becchina, la figlia di un cuoiaio:

Becchin’amor! – Che vuo’, falso tradito?
Che mi perdoni. – Tu non ne se’ degno.
Merzè, per Deo! – Tu vien molto gecchito.
E verro sempre. – Che sarammi pegno?
 
La buona fé. – Tu ne se’ mal fornito.
No inver’ di te. – Non calmar, ch’i’ ne vegno.
In che fallai? – Tu sa’ ch’i’ l’abbo udito.
Dimmel’, amor. – Va’, che ti vegn’ un segno!
 
Vuo’ pur ch’i’ muoia? – Anzi mi par mill’anni.
Tu non di’ ben. – Tu m’insegnerai.
Ed i’ morrò. – Omè che tu m’inganni!
 
Die tel perdoni. – E che, non te ne vai?
Or potess’ io! – Tégnoti per li panni?
Tu tieni il cuore. – E terrò co’ tuoi’ guai.
 
(Cecco Angiolieri, Becchin’amor! – Che vuo’, falso tradito?)

Il suo componimento più famoso è una grande e insofferente presa in giro della sua famiglia, dei poeti della sua età e del suo tempo:
 
S’i’ fosse foco, arderéi l’mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempesterei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil en’ profondo;
 
s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo;
ché tutti crïstiani imbrigherei;
s’i’ fosse ‘mperator, sa’ che farei?
A tutti mozzarei lo capo a tondo.
 
S’i’ fosse morte, andarei da mio padre;
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui;
similmente faria da mì madre.
 
S’ i’ fosse Cecco, com’ i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
e vecchie e laide lasserei altrui.

(Id., S’i’ fosse foco, arderéi l’mondo)

 

cecco-angiolieri (1)

 

 

Baustelle

 

I Baustelle sono una piccola rivoluzione tutta italiana. Sono la pop band che più di tutte ha fatto e continua a fare pop nel belpaese, quello con la P maiuscola, vero, genuino, ispirato principalmente ai grandi compositori degli anni ‘60 e ben lontano dalle logiche commerciali delle case discografiche, che sfornano fenomeni da baraccone e ritornelli demenziali dell’estate al mare e nelle disco. La band nasce nel 1994 a Siena, come classica formazione di studenti universitari, che cercano di suonare in qualche locale per sbarcare il lunarioBaustelle - XL e finanziarsi gli studi. Sin dal primo momento, è chiaro che l’anima del gruppo sia Francesco Bianconi, talentuoso e passionale musicista toscano, innamorato dei grandi autori degli anni ‘60 e ‘70, in primis De Andrè, ma anche Piero Ciampi, Battisti, Battiato e soci. Gli altri membri sono Rachele Bastreghi, cantante e tastierista, Fabrizio Massara, arrangiatore e tastierista, e Claudio Brasini, chitarrista. Dopo vari ep piuttosto noiosi e snobbati dal pubblico, la svolta avviene nel 2000, con il primo disco autoprodotto, dal titolo “Il sussidiario illustrato della giovinezza” Baracca&Burattini. Si tratta di un album molto particolare, quasi una sorta di concept, che narra di un’adolescenza spensierata e tutta italiana. Il disco ha immediatamente successo, anche grazie ai duetti vocali Bianconi – Rastreghi, divenendo in breve un vero e proprio album di culto per quella generazione che non si rispecchia nelle classifiche nazionali e cerca nella musica indipendente la sua identità perduta. Nel 2003, arriva “La moda del lento”, Mimo Sound Records, in un momento molto particolare per la band, che sta quasi per sciogliersi per problemi economici e per le incertezze sul futuro. “La moda del lento” è un disco accattivante e un po’ diverso rispetto al primo. Meno Baustelle-La_Malavita-Frontalchitarre elettriche e più elettronica e atmosfere dal gusto retrò, per un pop ben più raffinato rispetto al “Sussidiario”. Dopo “La moda del lento”, la band ottiene finalmente un contratto con la Warner Records e dà in pasto al pubblico “La malavita”, 2005 (copertina a sinistra). “La malavita(ascolta) è l’album per eccellenza dei Baustelle, non solo per via del loro passaggio ad una major (la Warner), ma perché segna le definitive scelte stilistiche e musicali della band. Nel disco si avverte, innanzitutto, una decisa svolta in senso cantautoriale. Bianconi abbandona il carattere personale dei testi per gettarsi su temi esistenziali e ben più profondi. “La malavita” è un disco drammaticamente romantico e dal gusto dolce-amaro. Tema dominante di tutte le tracce è il mal di vivere. Su 11 brani, infatti, due parlano di suicidio e i restanti nove narrano degli esclusi della società. “La malavita” inizia con una intro strumentale, “Cronaca nera(ascolta), in cui la Bastreghi si cimenta in un lungo assolo sul suo strumento, a cui seguono basso chitarra e batteria. Un’apertura che si sposa perfettamente con la seconda traccia del disco, “La guerra è finita“, estratta, poi, come singolo. “La guerra è finita(ascolta) è in assoluto il capolavoro del disco e della band. La melodia pop è perfetta e orecchiabile, la voce di Bianconi retrò e il testo, di una bellezza disarmante e ricco di rime originali, narra la storia di un’adolescente che finisce col suicidarsi dopo essere caduta nella trappola Baustelle-verticaledella tossicodipendenza. “La guerra è finita” è una vera e propria anomalia nel panorama pop italiano, quasi una piccola rivoluzione. E’ il modo con cui Bianconi e soci annunciano al belpaese che la musica made in Italy non è morta, che ancora c’è spazio per testi profondi e realistici ed è possibile farli apprezzare al grande pubblico. Altra grande canzone è “Revolver” (ascolta), cantata da Rachele Batreghi, con voce fredda ma decisa. Poi, “I provinciali(ascolta), perfetto connubio tra elementi orchestrali e rock, che narra dell’alienazione e dell’arretratezza delle provincia italiana. “Un romantico a Milano(ascolta), invece, tratta dello smarrimento della figura del romantico nella fredda e apatica metropoli settentrionale. In “Sergio(ascolta), Bianconi racconta dello scemo del villaggio, mente in “Il corvo Joe(ascolta) il volatile diventa metafora degli esclusi e dei derelitti. Il finale del disco è affidato a “Cuore di tenebra“, lampante citazione del romanziere Joseph Conrad, in cui i Baustelle, forse un po’ banalmente, suggeriscono l’amore come il miglior antidoto al mal di vivere. “La malavita” è un ottimo disco pop, con canzoni ben fatte e dai temi affascinanti e profondi, in controtendenza rispetto al resto della musica italiana, che anno dopo anno cade sempre più in basso. I Baustelle sono musicalmente attivi tutt’ora e dopo “La malavita” hanno pubblicato diversi album validi e ottimi singoli (“Colombo“, “L’aereoplano“, “Gli spietati“, “La morte non esiste più“) cimentandosi con temi sempre più complessi e a volte schierandosi politicamente. L’ultimo album si intitola “Fantasma“, Warner Atlantic, datato 2013.

Pier Luigi Tizzano